di STEFANIA PAPALEO
Due anni e 10 giorni di reclusione per peculato. Una condanna passata in giudicato e da scontare in carcere sulla scia di quanto prevede la cosiddetta "Legge spazzacorrotti", che non fa sconti dal punto di vista restrittivo. E proprio dietro le sbarre del carcere di Siano era finito quasi due mesi fa un imprenditore di Cosenza, raggiunto a maggio da un ordine di carcerazione emesso a suo carico dalla Procura generale di Catanzaro e scarcerato solo ieri grazie a un dettagliato ricorso proposto dall'avvocato difensore, Piero Chiodo, e accolto dalla sezione feriale della Corte d'appello di Catanzaro, presieduta da Gabriella Reillo (a latere: Alberto Filardo e Francesca Garofalo). Una decisione che rappresenta il secondo caso in Italia, dopo quella assunta dal Tribunale di Como, lo scorso 8 marzo, in sede di incidente di esecuzione nell'ambito di un analogo caso giudiziario, di disapplicazione dell'art. 11 e 6 L. n. 3 del 9.1.2019 di modifica dell'art. 4 bis TU Ordinamento penitenziario, ottenuta senza necessità di ricorrere alla questione di legittimità costituzionale, peraltro già sollevata d'ufficio dalla stessa Corte di Cassazione.
La vicenda, nello specifico, riguarda una truffa da ben 15 milioni di euro commessa diversi anni fa ai danni di alcuni Comuni calabresi e scoperta nell'ambito di un'inchiesta della Guardia di finanza sulla riscossione dei tributi da parte di una società di cui l'imprenditore è stato presidente dal 2005 al 2006. “Redde Rationem”, il nome in codice dato all'operazione che portò alla luce le irregolarità commesse dalla concessionaria che aveva in carico il ruolo Tarsu (la spazzatura), il ruolo idrico e il ruolo Ici di varie amministrazioni, travolgendo a pieno titolo l'imprenditore che ne presiedeva il Cda, con una prima condanna, riportata per mano del Tribunale di Cosenza nel dicembre del 2016, a 5 anni di reclusione, ridotta, a ottobre del 2018, a 2 anni e 10 giorni di reclusione dai giudici della Corte d'appello di Catanzaro, la cui sentenza, a maggio di quest'anno, è stata definitivamente confermata dai giudici della Corte di Cassazione, che, nel giudicare inammissibile il ricorso dell'imprenditore, lo hanno anche condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di duemila euro in favore della cassa delle ammende, oltre al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili, ovvero dai comuni di Ionadi e Limbadi per la somma di 4550 euro e dai comuni di Zumpano, Petrizzi, Nicotera e Oriolo per la somma di 3500 euro, che si erano costituiti in giudizio con gli avvocati Rodolfo Campolongo, Andrea Bonifai, Santo Gurzillo, Giorgio Luciano Maiuri e Giulio Ceravolo.
Da lì l'ordine di carcerazione emesso dalla Procura generale di Catanzaro e ora sospeso dalla sezione feriale della Corte d'appello di Catanzaro, che ha disposto l'immediata scarcerazione dell'imprenditore, nei cui confronti, dopo la condanna definitiva di maggio, era stato emesso l'ordine di esecuzione e carcerazione che, secondo la disciplina vigente, sarebbe stato automaticamente sospeso essendo la pena riportata dall'indagato inferiore a 4 anni. Così come ha evidenziato l'avvocato Chiodo nell'istanza di sospensione che è stata accolta dai giudici, a parere dei quali "al di là della questione relativa alla natura sostanziale o processuale della norma - che indubbiamente ha natuta altamente afflittiva, atteso che ha inciso concretamente sulle prerogative che in precedenza potevano essere riconosciute al condannato, ma che con orientamente costante la Suprema Corte ha inteso non sostanziale - la sospensione si impone per due ordini di motivi: in primo luogo deve ritenersi in generale consentito al Giudice esecutivo sospendere l'esecuzione dell'ordine di esecuzione, quando possa esservi concreta possibilità di riconoscimento da parte del Tribunale di sorveglianza di misure alternative, e, in ogni caso, con l'ordinanza richiamata la Suprema Corte - che pure ha esaminato respingendole molte delle questioni rilevate dalla difesa - ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale in riferimento al delitto di peculato, rilevando, in sintesi, la possibile irragionevolezza del giudizio presunto di pericolosità sociale in relazione a tale fattispecie punitiva". Pertanto, secondo i giudici, la sollevata questione ha sicuro rilievo nel caso in esame, cui consegue la necessità della sospensione dell'ordine di esecuzione, "atteso il pregiudizio grave e irreparabile derivante dalla prosecuzione dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione, in questione nelle more della decisione della Corte costituzionale".
Dunque, ordine di carcerazione sospeso e legge impugnata "spazzata" via.
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