di CLAUDIA FISCILETTI
Parlare con Francesco Colella e un po’ come parlare con un caro amico. Ben lontano dagli atteggiamenti distaccati da divo hollywoodiano, nonostante per bravura e professionalità potrebbe adoperarli, l’attore si presta con un gran sorriso a fare due chiacchiere per l’intervista a La Nuova Calabria. Sarà perché entrambi siamo nati a Catanzaro, ma non è difficile rispecchiarsi nelle sue parole intrise di tanto amore per la famiglia e passione per il lavoro che svolge da circa 20 anni, oltre alla testardaggine tipica che, in questo caso, possiamo chiamare ambizione, e che l’ha portato a divenire uno degli attori più apprezzati nel panorama cinematografico, televisivo e teatrale. Il 7 dicembre scorso gli è stato conferito il Premio Carlino d’Argento nella categoria “Cultura”, uno dei riconoscimenti più prestigiosi consegnato alle eccellenze calabresi che si sono distinte anche oltre i confini regionali, e Colella lo ha dedicato ai suoi genitori, come a sottolineare in modo implicito che Catanzaro è pur sempre un pezzo del suo cuore. Nella sua carriera è riuscito a mostrare versatilità interpretando personaggi dalle più svariate sfumature, impegnandosi a teatro quanto al cinema e in televisione. Di recente lo abbiamo visto al cinema con "3/19" di Silvio Soldini (LEGGI QUI), e presto lo vedremo anche nel film di Salvatore Allocca, "Mancino Naturale".
Questo Carlino d'Argento dedicato ai suoi genitori e ricevuto proprio nella città in cui è nato, quanto è importante?
"Questo genere di cose sono importanti nella misura in cui aggregano una comunità, formata da persone che decidono di darti un segno della loro stima e in qualche modo senti che il tuo lavoro sta comunicando qualcosa. Fa molto piacere, soprattutto se succede nella tua città, e poi è bello perché è un modo anche per comunicare la mia gioia ai miei genitori. Loro mi hanno sempre supportato, all'inizio magari erano disorientati perché non sapevano di cosa si trattasse, ma hanno sempre avuto la lungimiranza di sostenermi senza mai ostacolarmi o contaminarmi con le loro preoccupazioni".
La passione per la recitazione l'accompagna sin da bambino, anche a Catanzaro ha recitato al fianco di Enzo Colacino quando era poco meno che ragazzino. Quanto si porta dietro dell'esperienza maturata in Calabria?
"Mi porto tutto, vi ho trascorso l'infanzia, l'adolescenza, quindi porto la mia formazione degli anni più importanti. E' ovvio che il lavoro mi ha portato a coltivare altre esperienze e ad incontrare altre persone. Non mi piace poi cadere nella retorica delle radici, qui sono nato e ho incontrato le persone con cui mi sono formato, portandomi dietro gli insegnamenti. Non è una cosa razionale, fa parte del mio inconscio, mi appartiene intimamente".
Nella sua carriera ha veramente interpretato personaggi dai caratteri più disparati. Cos'è che l'attira in una sceneggiatura?
"Quando un personaggio incontra anche il mio percorso di persona, di uomo. Se questo personaggio mi arricchisce, per me recitare diventa un'educazione sentimentale, in qualche modo cerco di sentire la risonanza di quel personaggio senza badare se possa essere una scelta di carriera o di convenienza. Faccio delle scelte che, in qualche modo, mi mandano alcune vibrazioni e che, interpretando il personaggio, mi arricchiscono e diventano qualcosa di più che vibrazioni".
Finora è sempre stato davanti la cinepresa, ma ha mai pensato di diventare regista?
"Per ora no. Penso alla regia più in ambito teatrale, ho scritto anche alcune cose per il cinema ma si vedrà, al momento non ho di queste ambizioni".
Ha lavorato sia a teatro che nel cinema e in televisione, ma ha una predilezione per un settore in particolare?
"C'è una differenza di linguaggio, ma ognuno di questi due mondi ha il suo fascino particolare, la sua attrattiva. Forse sono più abituato a far teatro perché l'ho fatto per molto tempo e solo negli ultimi anni ho iniziato a prendere parte ai film. Ma l'esperienza che ne faccio di solito è ricchissima tanto a teatro quanto al cinema".
Il film di Silvio Soldini, "3/19", ha segnato il suo ritorno al cinema nel post pandemia.
"Si, 3/19 ha fatto un grandissimo percorso ed è stato bellissimo presentarlo insieme a Soldini. Dopo la pandemia il cinema sembra sempre più vicino al teatro, perché è un rito di aggregazione fisica. Quando Silvio mi ha chiesto di andare a presentare il film ha usato questa frase: "Ti va di portare con me il film un pò per mano?", ed era bello perché ne parlava come se fosse una creatura vivente. Andavamo a parlarne col pubblico e questa potrebbe divenire un'attitudine molto bella e necessaria per riavvicinare le persone".
Si puo' dire che il covid ha fatto comprendere l'importanza del cinema e della cultura più in generale?
"Semmai col covid si è sentita la mancanza di qualcosa che già mancava. Vedo le persone che hanno tanta voglia di aggregarsi, però dipende dal livello di aggregazione. Sacrosanta è l'aggregazione attorno a tavole imbandite piene di cibo, però sarebbe bello che fosse più frequente anche un altro tipo di aggregazione, in cui si nutre il cuore e l'anima. E' un fatto di emotivitità, cinema e teatro creano un apparato storico, sentimentale, che ci aiuta a far scomparire le paure e a dare dignità al dolore, lì dove accade, perché il dolore fa parte della vita".
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