di MARIA ELENA SANTORO*
A chi mi chiede: “come stai?” è bello rispondere scrivendo, perchè possibile “fare zoom” sui propri sentimenti e sulle proprie emozioni e non fermarsi ai lemmi “bene/male, SI/NO, manina con il pollice in alto o in basso”. Ecco, al mio ritorno a scuola, dopo la chiusura di marzo 2020 e conseguente DAD a causa dell’emergenza sanitaria, mi sento come se dopo un lungo sonno mi fossi destata senza identificare più le mie cose come erano prima. Un forte senso di infelicità mi assale e penso a quanto letto qualche tempo fa: l’edonomometro del 2020, che misura la felicità mondiale, ha visto il crollo repentino a causa del virus SARS-CoV-2 . E’ scontato il commento: “come l’economia!”. Forse, però, avremmo dovuto fare più attenzione e riflettere già dopo la SARS del 2003. Risultano vincenti i Paesi che dimostrano maggiore coesione per il riferimento al lungo termine, come le coppie, più solide se perseguono un progetto a lunga scadenza.
Pensando alle vacanze “di prossimità” quest’anno trascorse, ricordo, invece, i viaggi degli anni precedenti, le tante bellezze naturali, opere d’arte e di architettura viste, ma la vera felicità non è quella che ti danno le cose, di per sé belle! Nasce, invece, da una costruzione: se fosse un edificio, la stanza più grande sarebbe quella dell’attesa!
Appunto l’attesa, in un procedere evolutivo, di ripresa, è fondamentale e non mi va di pensare a negoziazioni con l’infelicità, perché in fondo poteva andare peggio. Voglio pensare “al meglio”!
Voglio pensare che si possa superare la contrapposizione generazionale tra il diritto dei giovani di vivere intensamente e il diritto degli adulti alla propria conservazione, come la contrapposizione tra lo Stato e le Regioni in ordine alle competenze sanitarie!
Voglio pensare a un ritorno in classe, il 24 settembre, pieno di gioia e emozione, con le necessarie misure igienico-sanitarie da osservare e con la consapevolezza di comportamenti attenti e responsabili. La scuola ha un ruolo fondamentale, è “luogo” di crescita personale nel vivere civile e democratico, ma al tempo stesso è “non luogo” perché esprime i nostri atteggiamenti, la nostra empatia, le nostre aspirazioni, la nostra creazione di senso, le nostre scelte. Con questo significato è declinato l’insegnamento dell’Educazione civica, al suo concreto esordio nel momento più appropriato!
Al suono della prima campanella, voglio pensare che, sia pure con tante cicatrici, a dimostrazione che è stato veramente difficile, un sorriso possa voler dire di avercela fatta!
Voglio pensare a riprendermi la mia vita, il mio essere, ecco non voglio dare al virus questa vittoria!
*Professoressa dell’IIS Polo Tecnico Scientifico BRUTIM - Cosenza
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