di Domenico Bilotti
Cara musica italiana,
l'estate del 2023 sarebbe dovuta essere decisamente tua, straordinariamente tua.
Nell'estate del 2020, dietro l'erronea convinzione che il Covid stesse finendo, si era ripreso a fare tutto - anche con ingordigia e caos - tranne che i concerti dal vivo. Quasi del tutto scomparsi, prescindibili rispetto ai discolidi, alle vacanze, alle riaperture.
In quella del 2021 siamo stati fermi e perplessi: rassegnati si stesse andando verso una vita a socialità alternata. Per fortuna, nonostante tutti i rischi non monitorabili a vista e tutte le speculazioni dei grandi complessi farmacologici mondiali, i vaccini hanno dato una mano ad abbassare numeri di contagi e loro mortalità. Nel 2022 perciò si riaccendeva la voglia, la speranza, l'attesa del divertimento e del palco.
Gli ultimi mesi hanno distrutto queste aspettative. Non le nostre personalissime, da spettatori e strumentisti: abbiamo visto e fatto splendide esibizioni. Il ruolo della musica nella società, nella cultura e nei consumi italiani (estivi o meno), da subordinato che già era, si è coattivamente portato ad appendice manovrabile, a companatico di seconda scelta.
Sono ritornati i grandi eventi negli stadi. Fanno status per l'artista che ci si esibisce, ma spesso nascondono speculazioni incredibili. Quella del bagarinaggio e del secondary market: il musicista o il gruppo riempie il superstadio con settimane d'anticipo e i biglietti sono rivenduti a costi immani. Quella degli artisti stessi, d'altra parte, che non rinunciano al target degli stadi anche quando non riescono a riempirli e poi sono costretti a chiudere e riassegnare settori, a regalare tagliandi, ad affidarli alle competition radiofoniche, televisive e digitali.
Per gli eventi nei grandi spazi storico-artistici non siamo preparati. Nessun moralismo contro vandali e disordini; i luoghi dell'arte devono vivere nel contemporaneo - questa, in effetti è, la missione della musica e dell'arte. Facciamo però pienoni, abusivismi, sfregi, scarso coordinamento: non riusciamo a goderne né la bellezza né l'acustica. Rischiamo di farli chiudere.
Nelle zone del turismo di massa, la musica è l'evento di una sera e si declina essenzialmente in due modi: o l'ammucchiata discotecara (dove esistono in piccolo quelle stesse speculazioni sui biglietti,tra omaggi e prezzi pompati) o l'evento gratuito in piazza o in lungomare, che finisce stritolato tra tranci di spada, fuochi d'artificio, passanti distratti e sistemazioni logistiche inadeguate.
Nell'entroterra, la musica è vissuta con grande coinvolgimento, crea entusiasmo, scalda una cartellonistica altrimenti esangue e fa un gran bell'effetto (al cuore e al colpo d'occhio). Ma c'è coerenza di intenti e voglia di crescere e di fare? Quanto sono disposte a spendere per la musica le amministrazioni pubbliche e i filantropi privati dalla coscienza più o meno immacolata?
Essersi completamente disinteressati di tutto questo, ha creato un dopante boom di eventi e festival mal curati, occasionali, giorni per far baldoria (siamo i primi, per carità), ma del tutto dimentichi delle esigenze artistiche e non solo della performance.
Che dire in effetti delle tutele contrattuali e sostanziali per le lavoratrici e i lavoratori che sul palco l'arte la portano e ce le fanno arrivare? I montatori, i servizi del trasporto, i tecnici, gli addetti al merchandising del gruppo (fatto di dischi, maglierie, souvenir e quant'altro)? Una categoria da tempo sottopagata e discriminata oggi, nel generico deprezzamento della prestazione di lavoro tutta, rischia di esplodere: o perché sono impiegati in modo precario lavoratori sempre meno specificamente formati in quello che fanno o perché staff di ogni tipo si spartiscono paghe e gratifiche sempre minori.
Che dire, cara musica italiana nell'estate del 2023? Ti amiamo ancora, veniamo a seguirti ovunque e ovunque ci basta accendere l'amplificazione per sentirci a nostro agio. Vorremmo però esistessi anche l'estate prossima e la prossima e la prossima.
Che tu, insomma, ci sopravviva catturando sempre nuovi innamorati come noi. E perciò non con i sequencer, le comparsate, la musica stessa (tu!) trattata a rumore che tiene insieme i cocci di tutto il resto come uno sfondo per applicazioni di videochiamata.
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