di GIORGIA RIZZO
Sono una trentina i precari del Pugliese- Ciaccio licenziati (LEGGI QUI) fermi in attesa sotto il palazzo della Regione al secondo giorno di protesta. Insieme a loro qualche sindacalista, un consigliere comunale e un’attivista. Poggiati al muro cercano di trovare sotto l’ombra riparo dalla calura dell’ora di pranzo.
Continuano, come da giorni, i discorsi, le previsioni, che fanno riunire i lavoratori in piccoli gruppi. Qualcuno, però, tace, fissando il vuoto, vuoi per la stanchezza della notte passata a dormire sul selciato, vuoi per i pensieri del momento. Superata la diffidenza iniziale qualcuno, dopo timide sollecitazioni, si sblocca e racconta la propria storia. Spesso si dimentica che dietro un fatto di cronaca, una decisione politica o aziendale, ci sono le vite di tante persone, con le proprie paure, i propri dubbi, ma anche progetti e sogni, che meritano di essere raccontate.
“Qui siamo tutti sulla stessa barca”, afferma schiettamente qualcuno, cercando subito di liquidare chi cerca di saperne di più sul loro conto. I volti sconosciuti cominciano ad avere un’identità.
Giulia (i nomi sono di fantasia) è una ragazza di 32 anni. Viene dalla provincia di Cosenza e ogni giorno raggiunge Catanzaro, solitamente per lavorare come infermiera, oggi per protestare. Imbocca suo figlio di tre anni, Luca, seduta sul bordo di un’aiuola. Non svela molto su di sé, lascia solo indizi sulla sua vita. Mostra solo la sua indignazione per l’indifferenza che stanno riservando a tutti loro da giorni. Il suo contratto scadrà il 31 dicembre, dopo due anni di lavoro verrà licenziata.
Nella stessa situazione è Anna, anche lei OSS trentaduenne. Sposata da un anno. Qualcuno scherza “al primo rinnovo di contratto la promessa, al prossimo rinnovo il mutuo”.
Poco più grande è Rita. Trentaquattro anni, vive ancora con i suoi genitori. Crede che la sua storia sia meno drammatica delle altre perché non ha figli da mantenere, ma dopo poco rivela, con un velo di tristezza negli occhi, sogni che potrebbero rimanere solo amare chimere. Adottare un bambino in Spagna, com’è stata adottata anche lei. Racconta che il padre è venuto a starle a fianco in questa protesta il giorno prima. Confessa il suo dispiacere per il dover lasciare quel lavoro che ha tanto amato. Non vuole abbandonare la sua terra ma sarà costretta a farlo per cercare la sua fortuna altrove. C’è poi chi ha già vissuto in passato l’esperienza del licenziamento.
Come Antonio, Operatore socio sanitario di 54 anni. Convive ed ha un bambino di 13 mesi. Non dorme da tre notti, al mattino si alza per salutare con un bacio suo figlio. Lo tormenta l’idea di non potergli dare un futuro, di non trovare più un altro lavoro per via della sua età. Ha già avuto un infarto a dicembre, confessa. I racconti vengono interrotti da qualche saluto, annunci di comunicati di solidarietà, ma ciò non risolleva gli animi.
A volte scappa qualche battuta, “dottorè, si vede che non sta lavorando”, “Belle queste ferie”. Ma il sorriso è quello amaro di chi attende la sentenza sul proprio destino.
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