“Mani Nude”, l’intervista al regista Mauro Mancini: “In Calabria ho trovato tutto quello che cercavo”

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images “Mani Nude”, l’intervista al regista Mauro Mancini: “In Calabria ho trovato tutto quello che cercavo”

  11 giugno 2025 15:52

di CARLO MIGNOLLI

Dopo il successo di Non odiare, Mauro Mancini torna sul grande schermo con un’opera intensa: Mani Nude, tratto dal romanzo di Paola Barbato, è un film che affonda lo sguardo nella brutalità del reale per costringerci a non distogliere il nostro. Girato in gran parte in Calabria, con il sostegno della Calabria Film Commission, e interpretato, tra gli altri, da Alessandro Gassmann e Francesco Gheghi, il film intreccia paesaggi aspri e personaggi al limite, corpi trasformati e anime in bilico. In questa intervista, Mancini racconta la genesi di un progetto nato da una necessità urgente, quella di non restare indifferenti. Una riflessione profonda sul cinema, sul dolore e sulla possibilità - forse - di salvarsi. GUARDA IL VIDEO DELLA PRESENTAZIONE DEL FILM A MILANO

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L’INTERVISTA

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Mani Nude” è una storia molto dura, disturbante, che ci mette davanti alla disumanizzazione, ma anche alla violenza. Da dove nasce questo bisogno di raccontare questa vicenda, soprattutto al giorno d’oggi?

«Prima del film c’è un libro, quello di Paola Barbato, che affronta il tema della violenza senza fare alcun tipo di sconto. Così ho sentito di fare anch’io. Non è un desiderio, ma una necessità, per quanto mi riguarda. Nasce dal fatto che viviamo in una società ultraviolenta, e forse ci stiamo disabituando a guardarla, oppure ci siamo abituati al fatto che esista, e la osserviamo con una certa indifferenza. Questo è molto pericoloso. Pensiamo a quante guerre ci sono attualmente, noi ci concentriamo solo su due grandi conflitti perché ci sentiamo coinvolti, ma in realtà la società sta andando in quella direzione. Quindi, non ci resta che spingere verso una riflessione. Questo film non vuole essere un film “sulla violenza”, non vuole mostrare violenza in modo gratuito».

Qual è la chiave del film?

«Alcune scene sono forti, certo, ma mostrano atti violenti che i personaggi sono costretti a compiere. Questa è la riflessione che io e Davide Lisino, con cui ho scritto la sceneggiatura, abbiamo cercato di stimolare. Il film mostra alcune cose senza sconti, perché dobbiamo restare scioccati davanti a una scena violenta in un film e non essere indifferenti davanti a una scena reale al telegiornale? Questa è la chiave del film. L’arte - che sia cinema, letteratura o pittura - ha sempre cercato di rappresentare la violenza per far riflettere. Noi abbiamo sentito il bisogno di mettere in scena qualcosa che spingesse chi guarda a interrogarsi».

Parliamo del cast. Francesco Gheghi e Alessandro Gassmann, che avevi già diretto in Non odiare. Gassmann qui interpreta un personaggio brutale ma non privo di umanità, che emerge nella seconda parte. Come avete costruito insieme agli attori i ruoli di Davide e Minuto?

«Ci sono due tipi di costruzione. Una è fisica, e per questo ringrazio i produttori Giuseppe e Agostino Saccà, insieme a Mario Mazzarotto. Non è scontato poter lavorare per tre mesi sulla trasformazione fisica degli attori. Per Francesco abbiamo previsto un allenamento specifico: ha preso circa 10 kg di massa muscolare, si è allenato su forza e resistenza, preparandosi a una performance fisica importante. Ad Alessandro ho chiesto di aumentare ancora di più la sua imponenza fisica, anche se già di per sé lo è. Nel film, la sua presenza scenica è quasi raddoppiata».

E sul piano umano?

«Sul piano umano, lavoro scena per scena, in modo meticoloso. Le prove attoriali sono fondamentali. Senza verità emotiva, lo spettatore non riesce a entrare in empatia, e tutto cade. Con Giordana Marengo, ad esempio, abbiamo lavorato su scene molto difficili. Francesco è un talento limpido e quando lavori con attori così è più semplice arrivare a ciò che desideri. Con lui abbiamo lavorato molto sulle fragilità emotive del personaggio, che è in continuo conflitto con se stesso. Alessandro, invece, ormai lo conosco molto bene, e con lui credo abbiamo abbattuto un altro muro. Gli ho chiesto di fare pochissimo, ma con una potenza espressiva incredibile. C’è un lavoro enorme nel fare “poco”: nel chiudere appena gli occhi, nell’accennare un sorriso. Penso a quando dice a Davide: “È una brava ragazza, non la far soffrire”, e lo chiama per la prima volta con il suo nome. Quello è il momento in cui riconosce l’essere umano. Oppure penso alla scena della cena, dove cambia espressione in pochi secondi. È un maestro, e penso che oggi possa affrontare ruoli difficilissimi, anche molto lontani da lui».

Parliamo dei luoghi. Il film è stato girato in diversi posti della Calabria. Cosa cercavi in quei paesaggi? E pensi che film come il tuo possano contribuire a cambiare lo sguardo sull’identità della Calabria, anche grazie al lavoro della Calabria Film Commission?

«La Calabria Film Commission sta facendo un lavoro splendido. Ho trovato professionisti attenti che mi hanno mostrato luoghi incredibili. Cercavo tre ambientazioni molto diverse: l’alta montagna, - e siamo andati a girare sulla Sila — il mare e una città dove il protagonista potesse nascondersi. Dovevano essere a breve distanza l’una dall’altra, e la Calabria era perfetta. Appena ho fatto il primo sopralluogo, ho capito che era il luogo giusto. Penso ad esempio alla potentissima immagine della piazza con il capolinea degli autobus di Cosenza, dove il protagonista è piccolo in mezzo a corridori: restituisce esattamente quello che volevo. Poi c’è il lungofiume di Cosenza, quasi un piccolo presepe. Trovare tutte queste possibilità in pochi chilometri è raro in Italia. La Calabria è una terra a cui sono legato fin da bambino. Ci andavo in vacanza con i miei genitori. Girarci mi ha fatto rivivere quei ricordi. Abbiamo girato metà del film in Calabria e metà in Bulgaria, per avere anche un contrasto visivo con la parte industriale. Se dovessi scegliere un luogo che porterò sempre con me, direi la Sila, la scena del taglio degli alberi è stata fortissima».

La colonna sonora di Dardust è perfetta per l’ambientazione e le scene. Cosa puoi raccontarci al riguardo?

«Ho questa abitudine: mentre scrivo, ascolto musica. Non musica ambient, ma qualcosa che abbia davvero a che fare con quello che sto creando. Mentre scrivevo “Mani Nude”, da solo e con Davide Lisino, ascoltavo spesso l’album “Duality” di Dardust. È un album meraviglioso, che già rappresenta la dualità del film, con le sue due anime. L’ho fatto ascoltare anche a Davide, che ha condiviso la scelta. Poi, sperare che Dardust firmi la colonna sonora originale del tuo film non è cosa da tutti i giorni. È stato incredibilmente generoso, ha investito tempo ed energia nel progetto. Sono molto orgoglioso. Ha restituito tutte le suggestioni che gli ho dato in modo potente, esatto, preciso. È stata una collaborazione splendida».

Un ruolo fondamentale è stato anche quello del team artistico

«Con Sandro Chessa alla fotografia, Stefano Giambanco alla scenografia, Camilla Giuliani ai costumi e Gianluca Scarpa al montaggio, è stato un percorso di autentica cooperazione creativa. Sapevo che Gianluca Scarpa sarebbe stato il montatore giusto. Il montaggio è una riscrittura del film. Avevamo lavorato insieme su un cortometraggio e mi era piaciuto come aveva lavoraro su altri film, ha una cifra personale, un curioso talento, capace di dare ritmo ed emozione in modo sorprendente».

Per chiudere, guardando al futuro: hai già in mente nuovi progetti? E magari la Calabria potrebbe farne ancora parte?

«Guai se non avessi nuovi progetti: significherebbe non prendere più sul serio il mio mestiere. Ho diversi progetti in corso e, tra questi, alcuni si prestano a tornare in Calabria. Chi lo sa che non ci rincontreremo da quelle parti? Per me sarebbe davvero un piacere tornarci».

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