di GIORGIA RIZZO
Goffo, impacciato, ignorante, con un marcato accento napoletano. Così appare, quasi al limite della caricatura, già dalle prime scene, il Martin Eden di Pietro Marcello, libera interpretazione del personaggio letterario nato dalla penna dello scrittore Jack London. Il marinaio statunitense diventa un ragazzo partenopeo di bassa estrazione sociale che si imbarca per mare in cambio di denaro.
A dare corpo e anima cinematografica al Martin di Marcello è Luca Marinelli, spalle larghe e occhi cerulei. Interpretazione magistrale che gli è valsa il premio Coppa Volpi ricevuto ieri al Festival del Cinema di Venezia, riconoscimento da lui dedicato a chi salva vite in mare, con un discorso che ha riscosso grande consenso ed eco mediatica per la sua valenza sociale e politica.
IL RISCONTRO Buon risultato anche a Catanzaro nel centro storico presso il Cinema Teatro Comunale, che segna già una buona affluenza nella prima proiezione dello scorso mercoledì, e di nuovo oggi con una seconda ondata di spettatori colpiti dall' "effetto Marinelli" del dopo Venezia. Risultato che ha spinto la direzione del cinema a mantenere il film fino al 15 settembre.
IL FILM Lo sfondo è quello di una Napoli del XX secolo segnata da povertà e contraddizioni sociali, sommosse popolari e da un clima di tensione che preannuncia la seconda guerra mondiale. L'incontro centrale che dà avvio alla narrazione è quello del protagonista con la giovane Elena, colta e benestante. Quasi grotteschi l'uno accanto all'altro, nel dialogare e poi nell'avviare un'insolita liaison amorosa, in cui lui rimane inizialmente all'ombra di lei. La svolta decisiva è il contatto di Martin con la cultura intesa come riscatto sociale. Il protagonista cova una forma di ammirazione per quel mondo borghese che non gli appartiene ma di cui vorrebbe fare parte, seppure senza arroganza, tanto da affermare: "vorrei parlare come voi, pensare come voi". E qui inizia a covare il germe del suo sogno: diventare uno scrittore.
Dedito e devoto, Martin diventerà poeta e intellettuale, ma non perderà mai quel contatto con la sua esperienza di povertà e miseria, narrata con sofferenza. Non imparerà mai a pensare come quella borghesia a cui la sua amata Elena appartiene e anzi inizierà a disprezzarla. Un disprezzo che diventa poi totalizzante e che trasforma il protagonista in una sorta di superuomo che da tutti prende le distanze chiudendosi in uno sfrenato individualismo.
Ed è proprio qui che inizia la rottura dell'equilibrio nella trama. Ad un certo punto lo sceneggiatore sembra lasciare le redini della narrazione che procede senza controllo, come il protagonista, che sembra autodistruggersi, anche come personaggio cinematografico. Lo spettatore rimane abbandonato e confuso, uscendo dalla sala pieno di interrogativi.
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