di STEFANIA PAPALEO
A indebolire la temibile cosca Grande Aracri era stato il pentimento del boss Nicolino, che aveva così lasciato un vuoto 'ndranghetistico che ben presto aveva portato il clan “satellite” rappresentato dalla “famiglia” Martino a fare il salto di qualità. Erano così andate avanti estorsioni a imprenditori, traffici di armi e droga e prestiti a tassi usurai nell'ambito di quell'associazione a delinquere che la Dda di Catanzaro, alle prime luci del 20 settembre 2024, aveva ritenuto di sgominare attraverso 31 misure cautelari eseguite con l'operazione “Sahel” (15 portati in carcere, 7 agli arresti domiciliari e 9 sottoposti all’obbligo di dimora, mentre per altri 24 indagati il gip non aveva disposto alcuna misura restrittiva). Oggi la richiesta di rinvio a giudizio con la quale il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Pasquale Mandolfino chiede di mandare 55 indagati davanti al gup.
Alla sbarra il presunto boss detenuto Vito Martino, che si sarebbe imposto a suon di estorsioni e di narcotraffico per colmare il “vuoto di potere” determinato dalla caduta della storica cosca Grande Aracri anche grazie al "bene placit” delle principali cosche del Crotonese, a partire dal “locale” Megna di Papanice di Crotone, rivelandosi capace di riorganizzare dal carcere i propri sodali anche grazie alla leadership della moglie che avrebbe rivestito un ruolo che sarebbe andato ben al di là di quello del semplice portaordini, gestendo in prima persona le attività estorsive contro imprenditori e commercianti e occupandosi della raccolta dei guadagni provenienti dal traffico di stupefacenti. Dalla sua cella, dunque, il nuovo boss avrebbe utilizzato i colloqui con i familiari, sia di persona che tramite videochiamate, per impartire ordini a sua moglie Veneranda Verni, ai figli Salvatore, Francesco e Luigi, e a Salvatore Peta, ritenuto anche membro chiave della cosca.
Secondo i ruoli ricostruiti dalla Dda, nello specifico Veneranda Verni, in particolare, avrebbe mantenuto rapporti con la cosca Mannolo, presente nella frazione San Leonardo, e avrebbe mediato in conflitti interni. Salvatore Martino avrebbe curato i contatti con la cosca Megna di Papanice, con cui erano sorti attriti, oltre a collaborare con la cosca Lanzino Patitucci di Cosenza per traffici legati alla droga. Carlo Verni, residente nel quartiere marinaro di Catanzaro, si sarebbe dedicato alle estorsioni nel capoluogo, mentre Francesco Martino avrebbe mantenuto legami con affiliati storici del clan Grande Aracri. Salvatore Peta, oltre a gestire i contrasti con i Megna, avrebbe seguito l’approvvigionamento di droga - cocaina, hashish e marijuana - con le sostanze provenienti da Crotone, Cosenza, Reggio Calabria, Catanzaro e Brindisi, mentre la base operativa per lo stoccaggio e la gestione della droga era situata a Cutro.
Capitolo a parte quello delle estorsioni, che avrebbe visto l'intera famiglia agire per ottenere dagli imprenditori di turno versamenti periodici di somme di denaro o assunzioni di comodo. Questo sempre secondo l'impianto accusatorio contro il quale scenderanno in campo i difensori di fiducia davanti al gup chiamato a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio spedita dalla Dda.
IL COLLEGIO DIFENSIVO. Ad affiancare gli imputati in aula ci saranno gli avvocati Eugenio Felice Perrone, Luigi Colacino, Sergio Rotundo, Gregorio Viscomi, Giuseppe Fonte, Stefano Nimpo e Aldo Truncè Salvatore Staiano, Fabrizio Salviati, Alessandro Guerriero, Leonardo Citrato, Arduino Foresta, Francesco Ansani, Mary Aiello E Arturo Bova.
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