di STEFANIA PAPALEO
CATANZARO – “Operazione Frontiera”, tengono anche davanti alla Corte D’Appello di Catanzaro le accuse al “clan del pesce”, con lieve riduzione della pena solo per cinque imputati. Ma, soprattutto, cadono in via definitiva le accuse ai quattro amministratori giudiziari di Catanzaro, nei cui confronti il collegio giudicante, presieduto da Adriana Pezzo (a latere: Ippolita Luzzo e Teresa Reggio), ha confermato la sentenza di assoluzione che era stata emessa, con il rito abbreviato, dal gup, Antonio Battaglia, il 4 luglio dello scorso anno.
Per Giuseppe Nicola Bosco, Gennaro Brescia, Gianluca Caprino e Salvatore Baldino (difesi dagli avvocati Gianmichele Bosco, Vincenzo Ioppoli e Sergio Rotundo) l’accusa formulata dalla Dda di Catanzaro era quella di aver permesso al clan Muto di continuare a gestire la società “Eurofish”, nonostante il provvedimento di confisca al quale si trovava sottoposta da ben dieci anni, così mantenendo il monopolio nel mercato del pesce nella zona di Cetraro.
Da lì il coinvolgimento dei professionisti, per i quali era stata anche sollecitata l’interdizione dai pubblici uffici, rigettata dal gip che, all’alba del 19 luglio 2016, diede il via al blitz che portò all’arresto di 58 persone per associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di droga, estorsioni, rapine, intestazione fittizia di beni e una sfilza di altre attività illecite con le quali la cosca di Cetraro, piccolo centro del Tirreno cosentino, sarebbe riuscita a imporsi nel tempo come una delle più autorevoli nel contesto criminale calabrese. Monopolista nel commercio dei prodotti ittici, nei servizi di lavanderia industriale e nel controllo dei locali notturni, il boss Franco Muto e il suo gruppo avrebbero gestito il territorio per oltre quarant’anni, pressoché indisturbati, anche attraverso la “Eurofish”, società che si occupava di commercio all'ingrosso di prodotti ittici freschi e congelati.
I provvedimenti di confisca ai quali era stata già sottoposta, infatti, sarebbero stati puntualmente elusi e, nonostante Francesco Muto, Andrea Orsino e Piermatteo Forestiero fossero stati interdetti dall'inserirsi nell'amministrazione dell'azienda, avrebbero continuata a gestirla come se niente fosse, continuando a imporre il loro dominio criminale sul mercato del pesce «reclutando la manodopera, imponendo ai pescatori di rifornirsi esclusivamente da loro, e tenendo i rapporti con gli acquirenti di pescato».?Il tutto, secondo i magistrati, anche grazie all'aiuto dei quattro amministratori giudiziari, accusati di averli aiutati ad eludere il provvedimento di confisca della società, rivelando al custode giudiziario di essere “controllato” dalla Procura di Catanzaro.
Da lì la richiesta della misura interdittiva della sospensione dei pubblici uffici, avanzata dagli allora procuratori aggiunti, Giovanni Bombardieri e Vincenzo Luberto, e dai sostituti procuratori antimafia, Pierpaolo Bruni e Alessandro Prontera, e respinta dal gip, che aveva ritenuto “non sussistere gravi indizi di copevolezza”. Quindi, era seguita la sentenza di assoluzione confermata ieri dalla Corte d’appello, che gli ha permesso di riscattarsi in via definitiva da ogni sospetto.
Per il resto solo lievi sconti di pena per cinque imputati.
CONDANNE E ASSOLUZIONI AL PROCESSO IN APPELLO
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