'Ndrangheta, il nipote del presunto boss Tegano rivela: "Le forze dell'ordine aiutarono la sua latitanza in più occasioni"

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Roberto Moio
  22 novembre 2019 16:28

Uomini delle forze dell'ordine "infedeli" avrebbero avvertito più volte il boss Giovanni Tegano, 80 anni, del suo imminente arresto consentendogli la fuga.

Lo ha dichiarato il collaboratore di giustizia Roberto Moio, nipote acquisito del boss Tegano, catturato il 26 aprile del 2010 dal personale della squadra mobile diretta allora dall'attuale questore di Palermo, Renato Cortese, durante l'udienza del processo "Ndrangheta stragista" in corso davanti alla Corte d'Assise di Reggio Calabria, presieduta da Ornella Pastore.

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Moio, rispondendo alle domande del Procuratore aggiunto della Dda Giuseppe Lombardo, ha anche riferito che molti 'ndranghetisti alloggiavano spesso all'ex Hotel Miramare senza essere registrati focalizzando il "sistema Tegano" con gli "infedeli" servitori dello Stato, fatto di scambio di favori, come le assunzioni nelle società municipalizzate - la 'Leonia' e la 'Multiservizi', già fallite - dove la ndrangheta di Archi imponeva assunzioni e forniture di beni e servizi.

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Ma il collaboratore ha anche riferito anche di un vertice di mafia tenutosi a casa del boss Tegano, affermando di avere conosciuto in quell'occasione uno dei capi della Sacra corona unita pugliese, Salvatore Annacondia, anche questi divenuto collaboratore di giustizia. Durante quel vertice, siamo nei primi anni '90, sarebbe stato Annacondia ad informare i presenti della tesi del boss Giovanni Brusca secondo il quale gli omicidi dei giudici Falcone e Borsellino rappresentavano una "fase di non ritorno" rispetto all'attacco terroristico allo Stato programmato da Salvatore Riina, in cerca di un nuovo "patto". Moio, con riferimento al summit di mafia in casa dei Tegano, ha anche affermato che all'incontro erano presenti elementi di primo piano della 'ndrangheta, come Domenico Paviglianiti, Pasquale Tegano, Carmelo Barbaro, Salvatore Annacondia e Giuseppe De Marzo, riunione che fu bruscamente interrotta da un intervento delle forze dell'ordine.

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"Chiesero ai presenti cosa facevamo lì - ha detto - ma non registrarono i documenti di nessuno". Nel processo sono imputati il boss di Melicucco, Rocco Santo Filippone, uomo di fiducia dei Piromalli di Gioia Tauro, e il boss del mandamento di Brancaccio Giuseppe Graviano.

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