Protagonisti a Torino i quaderni inediti di Pavese con le traduzioni di Iliade ed Odissea scritti a Brancaleone (FOTO)

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images Protagonisti a Torino i quaderni inediti di Pavese con le traduzioni di Iliade ed Odissea scritti a Brancaleone (FOTO)
La professoressa Mariarosa Masoero, direttore Centro Studi Gozzano- Pavese dell' Università di Torino
  09 novembre 2020 11:36

di GIOVANNA BERGANTIN

Cesare Pavese. Dialoghi con i classici”, è il titolo del convegno di studi on line appena conclusosi all’Università di Torino, promosso per i settant’anni dalla morte dello scrittore piemontese a cui toccò di scontare il confino, dall’estate del ‘35 al marzo del ’36, in Calabria, a Brancaleone.

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“L’obiettivo – riportato sul sito del Centro Interuniversitario per gli studi di letteratura italiana in Piemonte a lui intitolato e tra gli organizzatori dell’incontro - è quello di indagare sul rapporto dello scrittore e della sua opera con la cultura classica: l’idea di classicità; le modalità e gli strumenti di accostamento con il mondo antico; il processo di progressiva appropriazione della lingua greca; il rapporto con l’epica omerica e l’interpretazione che Pavese ne offre; i personaggi del mito antico e le modalità della loro rappresentazione; il concetto di tragedia, anche alla luce dell’interpretazione offerta dalla filosofia di Nietzsche; la conoscenza della filosofia classica”. Importanti le novità evidenziate a conclusione della due giorni di studi che ha raccolto le testimonianze dei più autorevoli studiosi di Pavese come Venturi, Guidorizzi, Trevisan, Tassi, Capasa, Catalfamo, Sichera, Cavallini, Lanzillotta, Bàrberi Squarotti, Vitagliano e Valsania.

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“Pavese è stato studiato moltissimo come traduttore di letteratura americana, ma pochissimo per quel che riguarda le sue traduzioni dal latino e dal greco. Da qualche anno Giovanni Barberi e Eleonora Cavallini si sono interessati al rapporto di Pavese con i classici greci - spiega la professoressa Mariarosa  Masoero, direttore Centro Studi Gozzano- Pavese dell’Università di Torino, studiosa, scrittrice e promotrice di un paziente e scrupoloso lavoro su Pavese -   Il Convegno è partito con i contributi di quelli che, simpaticamente  definiti ”pavesini doc”, sono grandi studiosi di Pavese.

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La sua novità è la presenza dei grecisti che hanno analizzato il rapporto di Pavese con la cultura classica greca. Inoltre, la partecipazione di molti giovani. Ci sono stati degli interventi molto agguerriti, appassionati e seri, direi, che hanno portato nuovi contributi molto interessanti – specifica la Masoero - Tra questi, un’assegnista dell’Università di Parigi che sta preparando l’edizione critica dei “Dialoghi con Leucò” e una tesi magistrale di una giovanissima che ha preparato il commento rigo per rigo di tre dialoghi e sta preparando il commento di tutti. Un’iniziativa difficile, da far tremare i polsi, ma è una bella speranza per il futuro e promette bene per il passaggio del testimone ai più giovani”. Specifica poi il Direttore del Centro Gozzano- Pavese “ Il periodo di Brancaleone è un momento limitatissimo della vita di Pavese, ma è chiaro che lui ha ripreso e quindi assorbito tutta una serie di stimoli per quanto riguarda soprattutto le poesie che aggiunge al suo “Lavorare stanca” e siamo nel momento in cui, in condizioni difficili e disagiate, licenzia con preoccupazione la prima edizione, quella del ’36”. Per studiare, riesce a fatica ad avere i libri e a Brancaleone riprende lo studio del greco e parla di Platone,  traduce il I libro dell’Iliade e anche a quel periodo risalgono alcune prove di traduzione dal greco dei libri dell’Odissea; riprenderà, poi, seriamente questi studi quando in seguito si confronterà quasi quotidianamente con la Rosa Calzecchi Onesti, allieva di Untersteiner, per quell’edizione di Omero che poi Einaudi pubblicherà”. 

Cesare Pavese ai tempi del confino

Sappiamo che Pavese frequentò le classi ginnasiali inferiori presso l’Istituto dei Gesuiti e le due superiori al Cavour nel Corso Moderno, dove non si insegnava  il greco, che riprenderà nei corsi universitari. Poi, molti anni dopo, quando nelle lunghe giornate noiose si ritrova a vivere l’orizzonte ristretto tra la ferrata e il mare che fu di Omero e di Ulisse, per rendere più sopportabile il soggiorno, sente il bisogno di ritornare ai classici greci e al mondo del mito. Chiede libri, alla sorella Maria il dizionario greco classico e le Odi di Orazio; sappiamo anche che “u prufissuri”, come lo chiamavano a Brancaleone, dava nella sua stanzetta ripetizioni di latino e greco a giovani studenti. Scrive l’11 settembre del ‘35 al prof. Monti ”..il giorno lo passo ‘dando vita’, leggicchio, ristudio per la terza volta il greco, fumo la pipa, faccio venir notte;..“. Del resto “..niente è più greco di queste regioni abbandonate. I colori della campagna sono greci. Rocce gialle e rosse, verdechiaro di fichidindi e agavi, rose di leandri e gerani, a fasci dappertutto, nei campi e lungo la ferrata, e colline spelacchiate brunoliva”. (Lettera del 27 dicembre ’35 alla sorella Maria)

I quattro quaderni inediti di traduzioni di vari libri di “Iliade” e “Odissea” realizzati nel periodo calabrese, insieme a molti altri documenti, sono conservati nell’Archivio del Centro Studi Gozzano- Pavese dell’Università di Torino, fondato da Giovanni Getto. “Un Centro con una lunga storia che, purtroppo, da marzo è chiuso. I documenti  su Pavese però,  sono consultabili sul portale unico HYPERPAVESE.com, – chiarisce la prof. Masoero – 30 mila immagini di carte, romanzi, racconti, poesie, saggi e soggetti cinematografici dell’attività di scrittore, manoscritti e dattiloscritti – Non buttava via nulla: scritti giovanili, due righi di un ipotizzato racconto, qualche verso, pensieri di tipo diaristico, piccoli brani di traduzioni, scolastiche e non, carte, appunti, che sono raccolti dentro grossi faldoni. Tutta la sua officina insomma”.

Brancaleone, scrittoio nella dimora che fu di Cesare Pavese

 La prof.ssa Monica Lanzillotta dell’Università della Calabria, studiosa che si è interessata del legame di Pavese con Brancaleone e relatrice al Convegno di Torino spiega “Sono traduzioni, è vero, fatte quando si annoiava e doveva occupare il tempo del confino, ma testimoni di un paesaggio che sentiva alieno e quindi il mito lo rassicurava. Andare al confino è avvertito dallo scrittore come uno sradicamento, vissuto come trauma, quindi si fa piacere questo paesaggio così lontano guardandolo con gli occhi del mito. Il pensiero della mitologia si radica qui”.

Per qualche giorno Stefano studiò le siepi di fichidindia e lo scolorito orizzonte marino come strane realtà di cui, che fossero invisibili parete d’una cella, era il lato più naturale. Stefano accettò fin dall’inizio senza sforzo questa chiusura d’orizzonte che è il confino: per lui che usciva dal carcere era la libertà. Inoltre sapeva che dappertutto è paese, e le occhiate incuriosite e caute delle persone lo rassicuravano sulla loro simpatia”.  (Cesare Pavese, Incipit del romanzo  “Il carcere”)

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