di EDOARDO CORASANITI
“Il collegio ritiene che gli elementi raccolti a carico dell’indagato non raggiungano la soglia della gravità indiziaria”. E ancora: “Né si potrebbe sostenersi una sorta di rafforzamento dell’intento criminoso da parte dell’indagato, non ravvisandosi alcuna forma di incitamento o preventivo accordo”.
Con le motivazioni depositate a marzo scorso il Tribunale della libertà di Catanzaro sembra non avere dubbi: l’avvocato Giulio Calabretta, 45 anni, indagato e sottoposto agli arresti domiciliari nell’ambito dell’operazione “Rinascita Scott”, al massimo è un “mero destinatario” delle informazioni divulgate dal colonnello dei carabinieri Giorgi Naselli all’avvocato Giancarlo Pittelli, entrambi colpiti dalla misura cautelare la notte del 19 dicembre scorso. Il militare, difeso dall’avvocato Giuseppe Fonte, non è più in carcere ma ai domiciliari dal 18 gennaio per decisione del Tdl, che ha annullato uno dei due capi di imputazione e ha lasciato in piedi proprio l’accusa della rilevazione del segreto istruttorio. Su questo, però, la difesa da Fonte ha già presentato ricorso in Cassazione con la convinzione che su due punti la motivazione della decisione sia carente: l’assenza di motivazione nell’aggravante del profitto patrimoniale e dell’aggravante mafiosa (LEGGI QUI). Pittelli invece è in carcere (ora a Nuoro) dal 19 dicembre e il 25 giugno di discuterà in Cassazione (LEGGI QUI) il ricorso cautelare dopo che i giudici del Tdl di Catanzaro hanno rigettato il Riesame.
Una convinzione che il Tdl ha fatto propria e che ha condotto ad una decisione dopo appena 21 giorni dall’emissione dell’arresto (LEGGI QUI): annullamento dell’ordinanza cautelare nei confronti di Giulio Calabretta (difeso dal legale Attilio Matacera) e immediato ritorno in libertà per l’avvocato accusato di concorso, in qualità di istigatore/determinatore, nella rivelazione di notizie d’ufficio che sarebbero dovute rimanere segrete.
In particolare, secondo l’imputazione, insieme a Pittelli, Calabretta avrebbe istigato Naselli “ad esaminare una pratica” pendente presso la prefettura di Teramo nell’interesse di Rocco Delfino (dominus della M.C. Metalli Srl) e Giuseppe Calabretta. Il primo è identificato come il dominus della M.C. Metalli Srl, incensurato, alla fine degli anni ‘90 è stato coinvolto in una operazione con l’accusa di appartenere alla famiglia “Piromalli/Molè”, assolto con la formula “perché il fatto non sussistite”, è stato risarcito per ingiusta detenzione. Inizialmente arrestato, l'8 maggio scorso è stato posti ai domiciliari (LEGGI QUI).
Il secondo è amministratore della stessa società, rimesso in libertà dal Tdl e dichiarata l’incompatibilità della Procura distrettuale antimafia così come per Salvatore Delfino e attribuendone la competenza, per i fatti di una presunta intestazione fittizia, al Tribunale di Teramo.
L’obiettivo, per la ricostruzione degli inquirenti, sarebbe stato di rivelare quali fossero le criticità oggetto delle verifiche in corso e coperte dal segreto istruttorio. Tutto questo aggravato da due ragioni: procurare a Pittelli e Calabretta un profitto patrimoniale derivante dal consolidamento del rapporto fiduciario e di aver commesso il fatto per agevolare la presunta cosca Mancuso di Limbadi.
Il tempo in questa vicenda assume una valenza fondamentale. I capi d’accusa vengono siglati al 22 settembre 2018. E qui cade il castello: Calabretta già durante l’interrogatorio ha dichiarato di aver appreso solo dalla lettura dell’ordinanza di custodia cautelare delle conversazioni tra Pittelli e Naselli, chiarendo che, in ogni caso, lui ne era già a conoscenza di quelle informazioni per aver esercitato il diritto di accesso presso la Prefettura. Non solo dichiarazioni ma anche documentazione allegata che dimostra come Calabretta ne fosse consapevole già da diversi mesi.
E c’è di più: perché Calabretta ha riferito ai magistrati di aver spiegato per intero la questione, tramite e-mail, all’avvocato Pittelli. Anche qui il calendario è decisivo. L’email è stata inviata il 17 settembre, quindi prima delle “chiacchierate” discusse tra Pittelli e Naselli: ragione che induce a pensare che Pittelli sapesse del contenuto, tanto che l’avvocato Calabretta sostiene di “non aver compreso il motivo di quelle telefonate” tra l’ex parlamentare e il colonnello Naselli.
Il Tdl, quindi, conclude le sue motivazioni evidenziando che il legale appare mero destinatario delle notizie coperte da segreto apprese da Pittelli (non tenuto all’obbligo di segreto, scrive più in là lo stesso Tribunale) - per il tramite di Naselli - senza che “si ravvisino elementi attestanti una effettiva ricerca di tali informazioni da parte di Calabretta, che fino a quel momento aveva seguito l’iter amministrativo previsto dalla legge".
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