Sanità, Cgil: "L'ultimo decreto ha sbloccato assunzioni già autorizzate. Serve un piano straordinario di investimenti"

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Medici in corsia
  10 ottobre 2019 12:20

La struttura commissariale per la sanità calabrese si pone come obiettivo prioritario di “ricondurre il livello di erogazione dei livelli essenziali di assistenza agli standard di riferimento”. Pertanto il primo interrogativo che ci siamo posti, da quando è stato pubblicato il cosiddetto decreto assunzioni, è stato: “come si può raggiungere questo obiettivo prioritario senza le necessarie risorse umane?”. Infatti, il DCA n. 135/2019 ratifica alcune autorizzazioni già concesse nei DCA del precedente commissario ad acta, ma non validate dal Tavolo inter-ministeriale perché prive di copertura finanziaria.

Ancora una volta l’aumento dei costi della pubblica amministrazione è diventato l’alibi per tagliare sull’investimento in figure umane che, com’è ovvio, in sanità sono una necessità. Eppure non è stato riscontrato alcun aumento dei costi nella spesa per il personale sanitario nella nostra regione, mentre gli incrementi riguardano le voci di spesa per l’acquisto di beni e servizi, come ha riscontrato anche la Corte dei Conti nell’ultimo rapporto per l’esercizio 2018.

Sappiamo invece, dalle tabelle allegate allo stesso decreto, che il blocco del turnover ha inciso a tal punto, che la potenzialità di assunzioni nel nostro Sistema Sanitario Regionale raggiunge adesso quasi i 116 milioni di euro annui. In breve, siamo al di sotto del famigerato tetto di spesa del personale, ridotto dell’1,4 % rispetto al 2004. Anzi, restiamo al di sotto pur considerando tutte le assunzioni già effettuate al 31.12.2018 e le 429 “sbloccate” da questo DCA!

Nonostante tutto questo sacrificio in termini di risorse umane, il tavolo Adduce ribadisce ancora, nel verbale del primo agosto scorso, che ogni DCA che preveda autorizzazioni alle assunzioni debba essere da esso validato e preliminarmente sottoposto a valutazione. A questo punto va da sé che, per risolvere questa nostra emergenza, non possiamo che rivolgerci direttamente ai ministeri della Salute e dell’Economia e Finanze, per ottenere un immediato piano straordinario di assunzioni. Piano straordinario che vada oltre le eventuali modifiche alle regole sui piani di rientro, in discussione nel Patto per la salute. Non basta più un commissario ad acta. E non è un problema che riguarda questo o il commissario precedente. La storia di questi anni di commissariamento ci ha dimostrato che troppi sono i limiti imposti dai ministeri, in particolare da quello di Economia e Finanze, come dimostra la vicenda dei decreti non validati dal tavolo Adduce.

Il caso “sanità Calabria” si risolve con una sola parola, già utilizzata di recente dal neo eletto Ministro della Salute: INVESTIMENTI! Nell’edilizia sanitaria, dove si possono recuperare risorse, sottraendole al costo oneroso delle infinite manutenzioni necessarie per edifici ormai vetusti; investimenti nell’acquisto di attrezzature sanitarie e scientifiche, con procedure snelle che non facciano diventare obsoleti i macchinari nell’attesa della conclusione delle procedure amministrative; investimenti nel reclutamento di nuovo personale che vada oltre il normale turnover, per migliorare la qualità dell’assistenza, diminuire le liste d’attesa, rientrare negli standard di sicurezza sull’orario di lavoro, in ottemperanza alla Legge 161/2014, e per potere utilizzare al massimo delle loro potenzialità (e non solo per 6 ore al giorno) le nuove strutture e attrezzature.

Tutto ciò necessita di un intervento straordinario del governo centrale, per restituire ai cittadini calabresi non solo il diritto alla salute ma anche la fiducia nel servizio sanitario della loro Regione. Servono deroghe alla normativa in materia di stabilizzazioni: ci sono troppi precari che, per un blocco occupazionale o nelle more dell’espletamento di un concorso, hanno maturato più di 48 mesi garantendo i servizi; serve lo scorrimento delle graduatorie ancora valide; servono nuovi concorsi a tempo indeterminato e l’internalizzazione dei tanti servizi che, se svolti in appalto, comportano spreco di risorse pubbliche e sfruttamento di lavoratori sottosalariati, come abbiamo più volte dimostrato. Ma servono, è giusto dirlo, anche amministratori competenti e autonomi politicamente. Troppo spesso abbiamo assistito alla nomina di direttori generali e di primari sulla base delle appartenenze e non della professionalità, che sono in gran parte responsabili dei disastri di gestione di questi anni.

In definitiva crediamo che il fabbisogno regionale di servizi assistenziali debba andare di pari passo con il fabbisogno del personale necessario a fare funzionare tali servizi, affinché questi risultino efficaci ed efficienti. Altrimenti il livello di erogazione dei livelli essenziali di assistenza non raggiungerà mai gli standard di riferimento, passassero 100 anni di commissariamento e di rendicontazioni ai tavoli ministeriali! Ma di tali provvedimenti non c’è traccia nel cosiddetto decreto Calabria, che doveva costituire un salvagente, pagato al prezzo di rinunciare alle prerogative proprie del governo regionale in campo sanitario, come la nomina degli amministratori delle aziende sanitarie.

Un aspetto positivo del decreto-legge è la rimozione del blocco del turnover per le Regioni in piano di rientro. Ma per la Calabria lo sblocco rischia di essere vanificato dal risultato negativo delle verifiche del tavolo Adduce. Il problema è ancora in fase di valutazione, essendo in corso la ricognizione dei fabbisogni di personale, ma resta comunque legato alla operatività dei nuovi commissari aziendali. La loro nomina, ora in capo al commissario governativo, resta inevasa per gran parte delle aziende, aggravandone lo stato di crisi.

Al governo centrale, che sta progettando nuovi modelli e nuove regole per il servizio sanitario nazionale che presenta molti punti critici non solo nelle Regioni fortemente indebitate, un appello chiaro e forte: la Calabria ha bisogno di un’attenzione e una cura particolare, perché bisogna restituire ai calabresi il diritto a curarsi anche nella propria terra.

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