Società e violenza, se i “bulli” sono donne...

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Franco Cimino
  28 settembre 2019 16:01

Stefania Papaleo, non so se come mamma o come intellettuale sensibile, probabilmente per tutt’e due i ruoli, ha scritto una bella pagina su un fenomeno che anche nella nostra Città è tanto diffuso quando trascurato e silenziato. Il caso di bullismo in danno di una ragazzina di quattordici anni, consumato in un liceo al centro di Catanzaro e denunciato dalla madre della vittima, dimostra quanto pericoloso esso sia. I protagonisti, questa volta sono donne. Vittima e violenti, sono ragazzine. Parto da qui non perché sia un elemento nuovo( il fenomeno, molto diffuso da tempo, è ben noto alle Forze dell’ordine, a studiosi e ad operatori del sociale), ma perché l’estendersi dell’uso della violenza nel campo delle ragazze, e quindi del loro affacciarsi pienamente al mondo della responsabilità femminile, accentua lo stato di difficoltà in cui si trovano le ultimissime nostre generazioni. La nostra cultura, da sempre ci trasmette l’idea che gentile, delicato, pacifico, generoso, non violento, siano aggettivi “ femminili”, nel senso che per natura si accompagnano al carattere della donna. Non sarebbe stata una brutta idea se ad essa non fosse stata contrapposta quella dell’uomo antropologicamente “ virile”, cioè dotato di una forza enorme. Una forza tanto grande che, laddove risultasse eccessiva, possa “normalmente” incanalarsi dentro i canali classici della violenza, dall’arroganza individuale all’aggressività, dall’uso prepotente del potere allo sfruttamento del lavoro, dalla durezza del linguaggio alla libera espressione dei corpi, dalla violenza fisica sulla persona alla guerra. Le società sono venute costruendosi su questi due modelli, furbescamente creati dal maschio per imporre una supremazia sulla donna e la sua emarginazione dentro ruoli che traducano la mancanza di forza virile in fragilità e debolezza.

Mi scuso di questa digressione antro-sociologica, che rinvieremo ad altre più ampi spazi di riflessione e di studio, ma il rapido passaggio mi serviva per affermare che l’immagina di una donna, per costituzione portata a realizzare il bene e a costruire la pace, attraverso il rifiuto della violenza come modo di risoluzione delle tensioni e delle individuali frustrazioni, è rassicurante. Lo è decisamente perché , mentre accarezza le ferite di questo mondo violento, costruisce la speranza che la realtà possa cambiare e l’uomo possa educarsi ad un atteggiamento più “ femminile” , termine che io uso nelle mie lezioni sulla parità, l’effettiva eguaglianza e l’umanizzazione del potere. E la forza della donna. Una forza vera, fatta di intelligenza e di amore per la vita. La vita che coltiva nel suo seno prima di farla nascere. La forza, che può cambiare tutto e tutti. La forza che assegna alla donna una responsabilità maggiore nella società. Specialmente, oggi. Il fenomeno del bullismo femminile, inserito in questo quadro, e che non faccia ingrossare il naso ai trinariciuti, allarma, sgomenta,spaventa , non per il fatto in sé, ma per le conseguenze che potrebbe avere sulle speranze del cambiamento atteso. Spaventa particolarmente, perché evidenzia, là dove un simile bullismo accade, il fallimento, parziale o totale, di quattro ambiti di responsabilità sociale, che portano, non a caso, un nome femminile.

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Il primo è Donna. Le ragazze di quel Liceo che hanno usato violenza nei confronti di una loro compagna di classe, avranno certamente una madre. Cosa hanno fatto quelle donne per educare i figli, e queste figlie, all’amore per gli altri, da cui discende il rispetto per chiunque, la solidarietà verso i deboli, e il rifiuto di ogni genere di violenza? Quali antenne hanno utilizzato per vigilare sui loro comportamenti e “avvisarsi” del loro cambiamento( un bullo non nasce dal nulla all’improvviso)? Quali rapporti, corretti e rispettosi dei ruoli, hanno costruito con gli insegnanti per scambiarsi informazioni necessarie sull’evoluzione(l’età dell’adolescenza è la più delicata, da sempre e oggi oltremodo pericolosa) dei loro ragazzi, di quelle ragazze? La seconda parola al femminile è Famiglia. Da tempo si conosce la fragilità della famiglia e la sua trasformazione in istituzione debole rispetto a quella fortissima su cui il mondo intero, per secoli, si è retto, salvandosi dall’autodistruzione. Cosa si è fatto per aiutarla e cosa essa stessa, visto che è generata da due esseri intelligenti e adulti, ha fatto per non abdicare completamente al suo ruolo, che è quello di educare e proteggere la prole? Cosa ha fatto, da se stessa e dall’esterno, per sentire ancora forte la responsabilità di consegnare, in un presto domani, gli artefici del futuro dell’umanità, a partire da quella più piccola a cui territorialmente si appartiene? La terza parola, è Scuola. Costretta in mezzo secolo a decine di riforme, nessuna compiuta e mai strategica, la scuola è stata sempre più sottoposta alla forza dell’economia. E dell’economia del mercato, quella maggiormente portata ad obbedire al potere di quel capitalismo differenziato, che, con la globalizzazione, ha assunto le forme di un mostro invisibile, senza testa. Cinico e violento, perché non si cura delle persone e queste trasforma in individui dediti solo a “ produrre” per quel mostro, procurando per se stessi solo il restretto spazio della competizione e della autoaffermazione professionale.

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La Scuola della cultura ampia e della formazione profonda, quella che guarda prima al cuore del ragazzo e poi alle sue mani, la scuola che illumina la mente dei fanciulli, singolarmente intesi, per aiutarli a formarsi il senso critico e l’autonoma capacità di leggere la realtà, la scuola che aiuta il sogno dei giovani e li incoraggia a sognare, a credere nella forza dei sogni e dei sentimenti, ha ceduto il campo a una sorta di super laboratorio, dagli spazi più grandi dei vecchi opifici in cui enormi schermi hanno sostituito la cattedra, luminosi tablet i banchi, la rete i libri, la ricerca in rete quella del confronto con il compagno di banco, e le immagini che arrivano da ogni dove il viso e gli occhi e la parola “ carnale” del docente? Cosa fa questa nuova scuola per accorgersi di quella aggressività che si agita dentro l’animo sempre più vacante dello scolaro e dello studente, e che se non controllata, in taluni, sempre più numerosi, può sfociare nella violenza anche dentro le mure scolastiche? Cosa fa per capire che gran parte dei piccoli uomini e delle piccole donne che gli sono stati affidati, sono esseri soli, isolati, non ascoltati, già nella stessa famiglia, e che dal mondo degli adulti o non ricevono amore vero o lo subiscono nella forma sbagliata? Cosa fa per dedicarsi al ragazzo che ha più bisogno di attenzioni diverse, approfondendo quelle tante diversità che si nascondono in studenti “ normali”? Cosa fa per sostituirsi alla tecnologia che si è impadronita dei suoi ragazzi, donando ad essi quei contenuti che svuotino la l’insincera del potere totalizzante che si è impossessato di loro? Potrei domandare ancora, aggiungo soltanto: cosa fa per cogliere, immediatamente, non l’attimo dopo la consumazione della prima violenza, l’atteggiamento tendenzialmente bullistico per scoraggiarlo e correggerlo?

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Infine, la quarta parola al femminile, società e politica, che qui sono ancora di più la stessa cosa. La fragilità con cui cui i nostri ragazzi stanno andando incontro alla vita con gli altri, e quella della Famiglia e della Scuola, è nota da tempo alla società che, dopo averla determinata, ne subisce le più gravi conseguenze, fino a quella, prossima a venire, della rottura dell’ordine sociale e della totale consumazione di quei valori morali che sono alla base del vivere sociale, l’essenza del suo essere, l’ossigeno del suo vivere? Se non ci interrogheremo su questo, iniziando a fare, ciascuno dalla propria difficile cattedra “ sociale e morale” dietro la quale si trova, un lavoro che impegni il cuore e guardi ai nostri ragazzi come il patrimonio più ricco dell’umanità, e se non ci attiveremo per rafforzare, anche se da soli, quei gangli vitali in cui la vita nasce e si muove, cresce e nuove cose crea, la violenza si diffonderà ancora e farà di quel bullismo, anche nella parte ampia nascosta o non vista, la stupidata arma con cui ragazzi fragili vorranno muoversi in questa società della competizione e delle microguerre con tutti. Dell’uno contro tutti. E di tutti contro uno, quello rimasto indietro, lasciato solo. Dimenticato, soprattutto. Ciascuno indifferente alla sorte dell’altro, ché gli è nemico se viene nella terra sua, a prendergli le cose sue, che sempre di più se ne devono avere. Le cose al posto dei sentimenti e dei sogni. La triste vicenda delle ragazze bulle di un liceo di Catanzaro, fatto non da sottovalutare assolutamente, rappresenta l’aspetto emblematico di questa mia riflessione. La sua testimonianza più attendibile. Se dinnanzi a ripetuti atti “ violenti” di più compagne nei confronti di una sola, consumati in classe, nello stesso istituto, alla presenza quindi di decine di giovanissimi testimoni e di molti adulti “ responsabilizzati” dal ruolo importante, anche sotto l’aspetto civile, la mamma della vittima è stata costretta a far ricorso alla Procura della Repubblica, cioè alla Giustizia penale, vuol dire che abbiamo perso tutti.

La Scuola di più. E perderà maggiormente, se, chiamati dal “giudice”, le ragazze fintamente si pentiranno, i loro genitori si mostreranno ignari del comportamento delle figlie, il dirigente scolastico e i docenti interessati si autoassolveranno inventando atti che non esisteranno nella loro richiesta importanza. Se, insomma, “è stato solo un piccolo incidente in un ambiente perfetto.” Sì, una sorta di incomprensione nel “ si sa come sono fatti i ragazzi”, una piccola lite di gelosia e “ mo’ vedete che faranno pace e si divertiranno insieme”. Se accadrà qualcosa di simile, vuol dire che coprire con il mancato senso di indignazione e vergogna un fatto così grave, che può rovinare la vita di un a ragazza, è più semplice che mentire sulla propria personale incapacità di servire amando i nostri ragazzi e la società in cui vivono.

Franco Cimino




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