Un’artista cosentino cancella i confini del festival Jazz di Roma. “No borders”: i migliori artisti del mondo chiamati a raccolta dall’installazione antisovranista di Alfredo Pirri

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images Un’artista cosentino cancella i confini del festival Jazz di Roma. “No borders”: i migliori artisti del mondo chiamati a raccolta dall’installazione antisovranista di Alfredo Pirri
"Compagni e Angeli", opera di Angelo Pirri
  14 novembre 2019 17:37

di FRANCESCO PARAVATI 

Si chiama “No borders” senza confini il 43mo festival jazz di Roma che iniziato il primo novembre continuerà per tutto il mese tra le migliori location dedicate all’ascolto della musica della capitale, ospitando artisti di ogni parte del mondo e di ogni età. Un festival appunto “senza confini” agiografici o geografici che ha il merito, dopo tanto troppo tempo, di riportare la grande musica jazz a Roma. E la raffigurazione della mancanza di confini, non solo musicali, è stata affidata al grande artista visual cosentino Alfredo Pirri, famoso in tutto il mondo per le sue installazioni.

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In linea con il tema, e a completare il programma del festival, Alfredo Pirri ha realizzato un’installazione che è diventata il simbolo “antisovranista”.. Una struttura dal telaio in ferro e pannelli colorati di plexiglass che divide in due la Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, sbeffeggiando il concetto di muro e di confine e ribaltandone il senso: l’opera di Pirri è una barriera luminosa e trasparente, continuamente attraversabile dal pubblico. L’idea dell’artista cosentino è quella infatti di trasformare il concetto di muro nell’evocazione poetica di un rito di passaggio.

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L’opera rientra nel ciclo “Compagni e Angeli (parole tratte da un brano dei Radiodervish – gruppo di apertura del festival– ispirato a una lettera di Antonio Gramsci).

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Durante il corso del festival, l’installazione di Pirri è anche palcoscenico di una serie di mini eventi musicali che la trasformeranno in una vera e propria cassa di risonanza e punto di ritrovo per  jazzettari di tutt’Italia che si stanno ritrovando a Roma per seguire i mostri sacri del cartellone itinerante del festival di quest’anno. L’edizione 43 del Roma Jazz Festival fino al 1 dicembre 2019 con 23 concerti fra l’Auditorium Parco della Musica, la Casa del Jazz, il Monk e l’Alcazar riporta a Roma delle vere icone viventi della storia del jazz come Archie Shepp, Abdullah Ibrahim, Dave Holland, Ralph Towner, Gary Bartz e Dayramir Gonzalez ma anche i più interessanti esponenti della nuova scena come Kokoroko, Moonlight Benjamin, Donny McCaslin, Maisha e Cory Wong, in grado di far scoprire il jazz alle generazioni più giovani. Le grandi protagoniste femminili come Dianne Reeves  Carmen Souza. Le esplorazioni mediterranee e asiatiche dei Radiodervish, Tigran Hamasyan e dell’ensemble Mare Nostrum con Paolo Fresu, Richard Galliano e Jan Lundgren. Il batterista anti-Trump Antonio Sancheze il suo jazz ai tempi del sovranismo e la nostalgia migrante raccontata in musica dalla Big Fat Orchestra.

No borders. Migration and integration è l’attualissimo titolo di questa edizione. Un programma pensato per indagare come oggi la musica jazz, nelle sue ampie articolazioni geografiche e stilistiche, rifletta una irresistibile spinta a combattere vecchie e nuove forme di esclusione. Il messaggio del Roma Jazz Festival 2019 è che possiamo comprendere il concetto di confine solo se accettiamo anche la necessità del suo attraversamento.

Dopo la splendida performance del grande Archie Sheep, simbolo di musica impegnata da sempre, fin dai concerti a fianco dei comizi di Malcom X, per i diritti civili dei neri d’America, domenica prossima all’Auditorium Abdullah Ibrahim, il grande pianista sudafricano, la cui musica è meditazione, preghiera e canto; un canto di amore, pace e fratellanza che si rivolge a tutti gli uomini nel segno di un rinnovato umanesimo che cancella i confini, anche e soprattutto quelli mentali. Imperdibile.

L’intero programma su romajazzfestival.it

 

 

 

 

 

 

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