Gioacchino Genchi aveva evidentemente un conto aperto con Giancarlo Pittelli. All'indomani dell'operazione "Scott-Rinascita" (LEGGI QUI) ha indirizzato una lettera all'avvocato.
Egregio Senatore Pittelli,
da quando per la prima volta nel 2007 incrociai il Suo nome nelle carte processuali delle indagini della Procura di Catanzaro, non ho mai avuto modo di rivolgermi direttamente a Lei, nemmeno nel corso delle udienze dei processi che insieme abbiamo condiviso, anche di recente, come difensori di diversi imputati. A distanza di oltre 12 anni da quando iniziai ad indagare su di Lei, questa notte è stata la Sua prima notte trascorsa in un carcere dello Stato, al quale io ho giurato fedeltà nel lontano 1986, allorquando da Vice Commissario della Polizia di Stato fui cinto per la prima volta con la sciarpa tricolore, recante l’emblema costituzionale della Repubblica italiana.
Come Lei sa benissimo Sen. Pittelli – per avermi innumerevoli volte denunciato e per essersi pure costituito parte civile nei processi in cui sono stato imputato (e assolto) – per causa Sua io e la mia famiglia abbiamo sofferto inaudite umiliazioni e pagato un prezzo altissimo. Tutto questo per avere solo cercato di fare il mio dovere di uomo dello Stato e di consulente dell’Autorità giudiziaria, nei procedimenti penali nei quali Lei era indagato. In quei procedimenti, Sen. Pittelli, Le ribadisco di avere agito solo con l’esclusiva finalità di ricerca della verità e dell’affermazione della giustizia, in una regione come la Calabria dove – ahimè – gli apparati giudiziari hanno fin troppe volte dimostrato di essere forti con i deboli e deboli con i forti.
Da uomo intelligente qual Lei è, sa e sapeva benissimo che io non avevo alcun preconcetto nei Suoi confronti, né sono stato strumentalizzato da alcuno ad indagare su di Lei, né tantomeno contro di Lei.
Più che le Sue denunce, i Suoi esposti e le Sue interpellanze parlamentari che ha presentato contro di me, quello che mi ha fatto più male e che ancora ricordo con amarezza, sono le accorate espressioni di condivisione e di solidarietà che l'allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano ebbe l'ardire di formularLe persino per iscritto, per il tramite del suo consigliere presidenziale, a riscontro dello stillicidio di esposti e di denunce che Lei presentò contro di me e contro l’allora Pubblico ministero Luigi de Magistris, a mani dell’allora Procuratore aggiunto di Roma Achille Toro, che da Suo buon amico qual era La ricevette affettuosamente nel suo ufficio.
Visitando quasi giornalmente le carceri, posso immedesimarmi nella sofferenza che Lei – abituato a tutt’altre agiatezze – sta vivendo in questo momento. In nome della Sua sofferenza, se può esserLe di sollievo e se crede al mio dire – Le confesso – da cristiano quale sono – che questa notte, prima di addormentarmi, l’ho pensata a lungo e mi sono immedesimato nelle Sue sofferenze, non avendo mai nutrito alcun sentimento di vendetta o di rivalsa nei Suoi confronti, né nei confronti di nessuno dei miei tanti persecutori, fra i quali Lei ha avuto un ruolo primario. Proprio per questo, Sen. Pittelli, Le auguro di dimostrare al più presto la Sua innocenza, anche se presumo non sarà facile, a parte talune genericità, plateali approssimazioni e luoghi comuni di cui è intrisa l’ordinanza cautelare che Le è stata applicata.
La Sua appartenenza alla massoneria, con l’iscrizione a varie logge (e non solo), ritengo sia la cosa meno grave fra le tante condotte del Suo vissuto personale, politico e professionale. Da avvocato penalista (come lo è Lei) La invito a riflettere seriamente sul Suo passato e a chiarire al più presto agli inquirenti la Sua posizione, rendendo ampia confessione in modo particolare sulle Sue complicità istituzionali, delle quali pare avere goduto fino a pochi minuti prima della notifica della misura cautelare.
Il mio invito – badi bene – non riguarda affatto uno sprono ad accusare i tanti indagati ed imputati che ha assistito da avvocato – assolvendo a doveri del mandato professionale che Le era stato conferito – ma i diversi magistrati, inquirenti, politici e uomini delle istituzioni con i quali pare confermato sia entrato in combutta per una sistematica subornazione e corruzione dell’azione giudiziaria dello Stato in Calabria (e non solo in Calabria), anche fino ad epoca recente. Sen. Giancarlo Pittelli, grazie a Lei molti magistrati e uomini delle Istituzioni hanno fatto carriera e oggi ricoprono posti chiave al vertice di Uffici statali e giudiziari. Vuoti il sacco una volta e per tutte e si liberi la coscienza.
Molti dei Suoi sodali nelle Istituzioni grazie a Lei hanno conseguito l’impunità ed oggi è stato chiamato solo Lei a rendere il conto alla Giustizia, insieme all’ultimo (fra i tanti) sprovveduto colonnello dei Carabinieri che ha incrociato nel Suo percorso. Fra le tante imputazioni che Le contestano, Lei è anche indagato di associazione mafiosa. So benissimo, per avere a lungo indagato su di Lei, che Lei non è un mafioso, né avrebbe la statura per esserlo, non foss’altro per la sua prolissa loquacità (e non solo per questo).
Nella Sua vita non ha saputo frenare le Sue ambizioni, in tutti i campi nei quali ha operato, e questa, e solo questa, è l’origine di tutti i Suoi guai. A parte i discreti successi personali, professionali ed economici che ha conseguito, oggi Lei è alla fine di un percorso che comunque si concluda il giudizio nel quale è indagato non Le darà alcuna possibilità di ritornare al Suo glorioso passato. Rifletta bene Sen. Pittelli e collabori con gli inquirenti. Liberi la Sua conoscenza, anche solo riferendo le Sue complicità con gli uomini dello Stato, oltre che con politici e magistrati. Se non vuole farlo su mio consiglio lo faccia per il bene del cognome che portano i suoi figli e nel ricordo di Suo padre e dei Suoi avi.
Prego per Lei e per la Sua redenzione.
(da il Fatto Quotidiano)
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