Tre anni senza Massimo Torregrossa, il gip respinge la richiesta di archiviazione: "Necessarie ulteriori indagini"

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Massimo Torregrossa
  06 giugno 2022 11:22

di TERESA ALOI

Da tre anni si batte per conoscere la verità. Lui, Armando Torregrossa, non ha mai creduto alla storia dell’allontanamento volontario del figlio. Non aveva mai creduto a quella scomparsa senza un perché.

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E ora il giudice per le indagini preliminari , Antonella De Simone,  ha respinto la richiesta  di archiviazione presentata dal pm  e disposto la restituzione degli atti in procura affinché  vengano eseguite ulteriori indagini sul caso del 51enne  catanzarese, originario di Aversa scomparso da Catanzaro il 13 agosto 2019.

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“Allo stato la richiesta di archiviazione non può essere accolta  apparendo necessarie  ulteriori indagini, nel senso che occorre procedere  all’escussione del denunciante Armando Torregrossa al fine di meglio chiarire le circostanze  riferite in denuncia, della moglie, al fine di lumeggiare gli eventi risalenti  ai suoi ultimi contatti  con Torregrossa Massimo  nonché di altro soggetto che risulti, all’esito  dell’audizione delle indicate fonti dichiarative, avere avuto contatti  con Torregrossa Massimo prima della sua scomparsa”.

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Interrogatori che si sarebbero già svolti.  Dunque, ci sono ulteriori indagini per la scomparsa  dell’operatore, impiegato negli uffici amministrativi di Fondazione Betania, a Catanzaro. Di lui, al momento resta solo un sms ai colleghi la mattina della sua scomparsa: “Non sto bene, non vengo al lavoro oggi”. Poche parole. Poi, il nulla. A parte i disperati appelli della famiglia.

 Di Massimo Torregrossa si persero le tracce quello stesso giorno. Inghiottito nel nulla.  Anche la sua auto, quell'Alfa Romeo 147 ritrovata nel piazzale del Benny hotel, non “svelò” nulla.  Nulla che potesse spiegare il perché della sua scomparsa.

Che i giorni prima non fossero stati facili lo aveva ricordato la sorella Barbara. “Non era sereno – ricordò la donna  - era come se avesse un pensiero fisso, era molto sciupato, dimagrito. Eppure alla nostra richiesta di spiegazioni ha sempre glissato”. Il 18 luglio scorso  Massimo era andato a trovare la sua famiglia. Due giorni e mezzo per ritrovare le sue radici, riabbracciare le tre sorelle, i nipoti, i genitori. “Cercava di sorridere ma non era lui. Si capiva che c’era qualcosa che non andava. Anche al telefono, il  31 luglio,  il  giorno del suo compleanno,  Massimo non era tranquillo” ricordò la sorella.

Forse, la possibile separazione della moglie. Quell’amore, talmente grande da averlo indotto a lasciare l’abito da religioso della Congregazione “Oblati di Maria immacolata” di cui faceva parte da anni anche in qualità di presbitero. Dalla Campania, terra che gli ha dato i natali, dopo aver portato la sua opera missionaria in Paesi anche extracomunitari,  era stato assegnato alla sede di Catanzaro durante l’Episcopato di monsignor Antonio  Cantisani. E proprio nel capoluogo aveva conosciuto il suo grande amore. 

La denuncia di scomparsa  venne presentata dalla moglie di Massimo 8 giorni dopo  ipotizzando un allontanamento volontario. Ma il papà di Massimo a quello non ci ha mai creduto.

Così come i suoi amici che vogliono la verità. Insieme a loro, anche l’associazione Penelope che attraverso l’avvocato Paola Paparo sta facendo tutto il possibile per arrivare a chiarire il caso.

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